Tui shou, tra il combattimento con l'altro e la conoscenza di se stessi
Ciò che insegnano le Arti marziali è che spesso si impara di più da una sconfitta che da un successo, anche perché “perdere” (volutamente tra virgolette...) ci porta a chiederci cosa non ha funzionato, dove possiamo migliorare, come possiamo fare meglio la prossima volta, e questo ci aiuterà ad essere sempre meno in balia di reazioni istintive e non ragionate e sempre più consapevoli di cosa facciamo e del perché lo facciamo.La pratica del Tui Shou, oltre a costituire un impegnativo e coinvolgente percorso formativo, è anche una maniera originale ed efficace per sperimentare in pratica alcuni dei principi appresi nella pratica individuale della forme: aprire e chiudere, alto e basso, comprimere ed espandere sono alcune delle espressioni della dualità dello Yin-Yang che permea le discipline interne come il Tai Chi Chuan ed il Ba Gua Zhang.
Il partner proverà a squilibrarci tirandoci o spingendoci, tenterà di sollevarci o farci cadere ed il nostro obbiettivo sarà quello di vanificare le sue azioni non impiegando la mera forza muscolare ma piuttosto mettendo in pratica i principi appresi con la pratica individuale.
La forza della non-forza
Resistere alla tentazione di contrapporre la nostra forza a quella del partner non ha solo lo scopo di verificare l'efficacia di quanto appreso con lo studio delle forme, ma è anche un modo abbastanza particolare di sperimentare tutti i limiti della semplice azione muscolare e di quanto questa possa essere vanificata senza sforzo apparente.Come insegna l'esperienza infatti, è molto difficile fare le cose semplici, ed è per questo che per molti praticanti il Tui Shou è una esperienza frustrante al pari dello studio delle posizioni statiche. In entrambi i casi ciò che appare facile e banale agli occhi di un osservatore esterno si rivela poi ben più impegnativo nella esecuzione pratica, quando il difficile non è tanto “fare” qualcoma ma – al contrario - “non fare”.
Per questo motivo alcuni insegnanti riservano la prativa del Tui Shou a praticanti esperti, ritenendo necessario un minimo di competenze acquisite per poterlo eseguire e comprendere nelle sue sottili sfumature operative, dall'altra parte altri docenti – proprio per la sua evidente utilità didattica dell'illuminare alcuni aspetti della pratica individuale – affiancano sin da subito il Tui Shou con la pratica delle forme.
Combattere con o combattere contro?
Mettendo da parte l'aspetto meramente marziale del Tui Shou, possiamo quindi comprenderne meglio la valenza formativa anche di chi è poco o nulla interessato all'aspetto “combattivo”; possiamo non voler sviluppare nessuna abilità di lotta su un ring, ma certamente possiamo trarre beneficio dalla pratica del Tui Shou per affrontare al meglio le tante sfide sociali, lavorative, affettive e personali che incontriamo nella nostra vita quotidiana.
Il combattente impara che le abilità indispensabili sul campo di battaglia sono coraggio, sensibilità, attenzione e distacco, e il modo migliore per svilupparle è allenarsi con costanza per poterle applicare sempre meglio in una situazione conflittuale. La stessa cosa avviene in ogni aspetto della vita; padroneggiare qualità come una buona salute e forma fisica, discipline lavorativa e sviluppo personale richiede tre cose: pratica, pratica e poi ancora pratica!
Lapratica individuale della forma ci insegna a muoverci in maniera equilibrata ed armonica, ma per certi aspetti è come se ci muovessimo nel vuoto, senza alcun ostacolo, nuotando nell'aria. Il Tui Shou ci da dei limiti di movimento e ci fornisce la opportunità di esercitare e mettere alla prova il nostro equilibrio e la nostra armonia i presenza di imprevedibili elementi esterni.
Come nel Tai Chi Chuan, nel Ba Gua Zhang o nel Qi Gong, anche nella pratica del Tui Shou è necessario osservare determinate regole ed applicare principi specifici, pena “agitare le braccia per scacciare le mosche” – come ricorda spesso il M° Severino Maistrello, direttore tecnico della Wudang Fu Style Academy e successore di Sifu To Yu.
Regole e principi
Prima di giungere ad una pratica libera e spontanea è quindi necessario addestrarsi su almeno tre aspetti del Tui Shou: come rimanere in contatto con il nostro partner di pratica, quali tecniche possiamo applicare e quali energie possiamo impiegare per raggiungere i nostri obbiettivi.Tra le qualità che possiamo sviluppare attraverso la pratica del Tui Shou ci sono sicuramente l'ascolto (Ting jing), non inteso in senso esclusivamente auricolare ma come capacità di percepire i segnali provenienti dall'ambiente intorno a noi; la capacità di comprendere questi stessi segnali (Dong jing), ovvero di interpretarli per quello che realmente sono e non per quello che vorremmo fossero; la capacità di neutralizzare quanto è potenzialmente nocivo per noi (Hua jing) e l'abilità di impiegare l'energia focalizzandola sul nostro obbiettivo in maniera “esplosiva” (Fa jing).
Il Tui Shou ci consente – come abbiamo detto – di percepire e sfruttare l'energia a partire dalle quattro forze principali che ci rendono capaci di aderire e far “rimbalzare” un attacco (Peng), di cedere indietreggiando (Lu), di concentrare la nostra forza in un unico punto (Ji) e di “sradicare” e superare il problema (An) .
Gioco e competizione
Il Tui Shou può essere considerato come un gioco, e questo viene interpretato da molti praticanti con due diversi obbiettivi: alcuni lo praticano con lo scopo di divertirsi ed altri con lo scopo di vincere, e d'altronde se questa pratica è compresa nel curriculum tecnico di un'arte marziale e le arti marziali servivano per sconfiggere un nemico in battaglia, se ne deduce che lo scopo ultimo della pratica sia quello di vincere contro l'avversario.
D'altra parte, per alcuni, essere ossessionati dalla vittoria non è il modo migliore per godersi un gioco, e ci si può divertire molto anche se alla fine della partita è il nostro avversario ad avere la meglio, senza contare che in alcuni casi è necessario perdere una battaglia per vincere una guerra oppure che – in un confronto – possiamo preferire che siano altri ad avere la meglio.
Dal punto di vista tecnico-didattico inoltre, l'evoluzione agonistica di molte discipline marziali ha dimostrato nei fatti che focalizzarsi solo sulla vittoria ha depauperato notevolmente il patrimonio tecnico, promuovendo solamente tattiche e strategie che potevano garantire medaglie e spettacolo. Stando così le cose, è comprensibile che molti insegnanti preferiscano evitare di dare troppa enfasi all'aspetto competitivo ed evidenziare maggiormente la corretta esecuzione del gesto tecnico.
D'altronde, ciò che insegnano le Arti marziali è che spesso si impara di più da una sconfitta che da un successo, anche perché “perdere” (volutamente tra virgolette...) ci porta a chiederci cosa non ha funzionato, dove possiamo migliorare, come possiamo fare meglio la prossima volta, e questo ci aiuterà ad essere sempre meno in balia di reazioni istintive e non ragionate e sempre più consapevoli di cosa facciamo e del perché lo facciamo.
Competere per imparare
Concludiamo ribadendo che la competizione non è il male assoluto e che una gara – correttamente intesa – è un fondamentale momento di confronto e test delle proprie abilità, come peraltro testimoniato dal crescente successo della European Cup organizzata dalla Wudang Fu Style Academy, che da diversi anni si svolge a Padova all'inizio di giugno, accogliendo diverse centinaia di partecipanti, anche dall'estero.Ovviamente ciascuna Scola o organizzazione ha i suoi regolamenti e le sue modalità di svolgimento ma – generalmente – le categorie agonistiche rispecchiano in larga parte quelle che sono le modalità di pratica ed insegnamento del Tui Shou e pertanto si possono avere diversi livelli di difficoltà crescente che prevedono un Tui Shou stazionario, eseguito con una o due mani a contatto, un Tui Shou che preveda lo spostamento di un numero prefissato di passi in avanti o indietro (di solito uno, oppure non più di tre) ed infine un Tui Shou “libero” in cui i praticanti possono spostarsi come e dove vogliono, mettendo in pratica la capacità di gestire i propri movimenti e le reazioni inconsce alle azioni del partner, sviluppando quindi la capacità di agire “spontaneamente” senza il contributo della mente cosciente, in una sorta di esemplare applicazione del concetto filosofico del “Wu Wei”, la “azione senza azione”, che merita una analisi specifica.